Domenica mattina: apro gli occhi, la luce filtra dalle imposte semichiuse. Non c’è il sole, ma forse è ancora presto, il meteo in realtà indica una giornata di bel tempo. E sono fiduciosa. Ore sette, un solo trillo e fermo subito la sveglia: dobbiamo trovarci alle otto per la prima camminata con il gruppo Nordic walking dopo il lockdown e la chiusura estiva. Arrivo al parcheggio e vedo un bel gruppo di amici: bene, siamo in tanti, tutti con i bastoncini e la maglia rossa. Che bella macchia di colore! Concordiamo, come sempre, di spostare poche auto e qualcuno sale, mascherina ben posizionata, con chi ha spazio disponibile, osservando il distanziamento previsto per il Covid.
La meta è il Lago del Corlo, un bacino artificiale situato nel piccolo comune di Arsiè e soprannominato ‘Il piccolo fiordo norvegese’ a causa della sua conformazione, allungata e piena di rientranze.
Percorriamo la Valsugana. Il traffico è scorrevole, tranquillo. Dopo la galleria giriamo verso Arsiè: il paese ha mantenuto lo stile antico fatto di case di pietra, gerani nei poggioli di legno, strade strette, qualche vecchio edificio lasciato tale e quale.
Arriviamo al parcheggio, ancora semivuoto. Angela e Alberto, gli istruttori che ci accompagnano, ci dispongono in cerchio per gli esercizi di riscaldamento prima di partire per la camminata. Siamo in trentadue, un bel numero. Angela dà gli ordini e noi eseguiamo. Sono sette anni che frequento il gruppo, ma questi esercizi non li avevo mai fatti: li trovo molto efficaci. Bravi i nostri istruttori, sempre aggiornati.
Con Angela in testa ci incamminiamo nel bosco, Alberto in coda. Il sentiero si restringe e ci disponiamo in fila indiana. La vegetazione si fa più fitta e il sole entra a sprazzi tra gli alberi, disegnando giochi di luce. Alla nostra destra il lago, sempre più in basso, si intravede a tratti. Nel sentiero si alternano leggere salite e piccole discese. Si sente il canto degli uccelli e una leggera brezza sollecita lo sfrigolio delle foglie degli alberi: è musica, accompagnata dal profumo dei ciclamini che via via si fa sempre più intenso. Come un grande tappeto, i fiori ricoprono copiosi il sottobosco. Una volta li si raccoglieva e poi si scendeva dalla montagna con i mazzetti bene in vista, e la stessa cosa si faceva coi narcisi. Ora, per fortuna, è vietato e siamo diventati tutti più sensibili nei confronti della natura. Ricordo, anni fa, i cartelli: ‘Chi ama la montagna le lascia i suoi fiori’.
Usciamo dal bosco e arriviamo vicino ad un campeggio in posizione splendida, con vista sul lago: i prefabbricati in legno con veranda e le piazzole per tende e camper godono di una vista spettacolare.
Piccola sosta caffè al bar del campeggio e poi ci incamminiamo verso la seconda parte del percorso che ci porterà lungo il Lago del Corlo. Lì ci sono barche, pedalò e canoe a disposizione dei clienti. Sulle rive qualche ristorantino o pizzeria e ampi spazi attrezzati, come il Parco della Campagnola, con tavoli, panche, un’area barbecue e tanta gente: famiglie, amici, bambini. Nella piccola piazza della frazione di Rocca di Arsiè c’è il grazioso albergo Venezia, con le persiane azzurre. E un campanile senza chiesa.
Allora ricordo: era il 1954, avevo quindici anni e se ne è parlato molto anche a casa mia. Grandi tabelloni in riva al Lago propongono la storia:
“Uno sbarramento artificiale del torrente Cismon, nominato successivamente Lago del Corlo, prese posto alla piana del Ligont, una terra ricca di acqua e molto fertile. Boschi, pascoli, vigneti e intere coltivazioni di pannocchie e tabacco vennero sottratte agli abitanti e numerosissime persone furono costrette ad abbandonare le loro case. L’acqua dell’invaso coprì gli antichi borghi di Giuliat, Cèsa, Cabalàu e Carèr, persino la chiesa parrocchiale di Rocca venne sommersa, si salvò solo il campanile, testimone ora della trasformazione che subì il territorio. E oggi vedere il campanile in riva al lago, solitario senza chiesa, desta una grande curiosità.”
Gli abitanti della valle lottarono molto per evitare la costruzione della diga. Fu promesso loro che avrebbero avuto case nuove ed energia elettrica gratuita, ma alla fine persero la loro battaglia. E delle circa tremila persone, duemilacinquecento emigrarono.
Rammento bene il Lago che via via cresceva, le case sommerse che si continuò a vedere per anni, quando l’acqua era limpida, e la gente che si fermava sul ponte della provinciale a guardare.
Proseguiamo il cammino, con la tristezza nel cuore, verso la parte più stretta di quella valle che è diventata un lago. Arriviamo al Ponte della Vittoria o Ponte delle Corde. Edificato nel 1928, è costruito con una passerella di legno sorretta da funi di acciaio fissate agli storici torrioni in pietra. Dal ponte si gode una bellissima visuale sul lago. Angela, l’istruttrice, ci ferma all’imbocco, dove un cartello dice: ‘Passaggio consentito a non più di dodici persone alla volta’. Lei si raccomanda: ‘Se soffrite di vertigini guardate sempre davanti a voi, perché le assi di legno poste a base del ponte non sono fissate tra di loro e le fessure tra l’una e l’altra lasciano intravedere bene il vuoto sottostante’. E ha ragione, perché guardo in giù e avverto subito anche il dondolio del ponte sospeso. Allora alzo rapidamente lo sguardo e fisso l’altra sponda.
La passeggiata volge al termine. Al ritorno, nella piazzetta di Rocca di Arsiè, dal campanile solitario parte un allegro scampanio: è mezzogiorno e il campanile impetuoso, senza la sua chiesa, ce lo ricorda.
Lontani dal traffico e dalla confusione, in una bella domenica di settembre abbiamo ricominciato a camminare in gruppo, cosa che mi era mancata molto.
Mi rimane il desiderio di visitare Fumegai, un borgo abbandonato che è stato lasciato intatto, con le case e gli arredi, le cucine economiche in pietra e la vaschetta dell’acqua calda, le pentole in coccio, le stoviglie sul tavolo.
Ritornerò, magari con i miei nipoti, perché la storia di questi luoghi merita veramente di essere conosciuta.
da Marisa
