contributo di Katia Chiomento
Quanto pesano le parole? In che modo riflettono il nostro pensiero?
Il 9 gennaio 2021, terza giornata della scuola di politiche OLTREVIA, a tema economia e disuguaglianze, una parte della mattinata si è incentrata su questo.
Uno degli ospiti della giornata a occuparsi di questa tematica è stato il gruppo bassanese Laboratorio Obiettivo 5, che ci ha illustrato alcuni concetti della disparità di genere sotto la lente del linguaggio che usiamo quotidianamente e che molte volte, anche senza volerlo, è indice del sistema maschilista della nostra società. Non abbiamo affrontato la tematica attraverso una lezione teorica, bensì con un laboratorio pratico. Perciò siamo statз divisз in stanze virtuali (l’incontro, ahimè, è avvenuto sulla piattaforma Zoom e non dal vivo) e ciascun gruppo formatosi è stato affidato a una delle rappresentanti di Laboratorio Obiettivo 5. Il mio gruppo si è concentrato sulle definizioni riportate da vari vocabolari, da quelli del secolo scorso a quelli odierni, delle parole che da un lato rappresentano il mondo femminile e dall’altro quello maschile. È stato curioso osservare che, per quanto i dizionari abbiano l’obiettivo di definire il mondo e tutti i suoi aspetti nel modo più oggettivo possibile, il significato di alcune mansioni assumesse una sfumatura completamente diversa in base alla declinazione di genere. Ciò che mi ha stupito di più è il significato di capitana, che secondo un vocabolario del 1914 significherebbe moglie di un capitano. Una capitana, dunque, secondo tale definizione non può esistere, non è tollerata: al massimo, una donna può aspirare ad essere la moglie di un capitano. Nei dizionari moderni, invece, molte volte manca la declinazione al femminile. È anche per questo che ci riesce difficile dire medica, avvocata, chirurga. Può darsi che, proprio in questo momento, in qualche parte d’Italia ci sia una bambina che spera un giorno di diventare una brava avvocata, ma che alla domanda «Che lavoro vuoi fare da grande?» risponde: «Vorrei fare l’avvocato». E questo avrà delle ripercussioni, purtroppo. Probabilmente, la stessa bambina farà fatica ad accettare di riconoscersi come avvocata una volta diventata adulta. Forse, le verrà anche “corretto” ogni suo tentativo di utilizzare la versione femminile. Ma tutto ciò porta a disuguaglianze in termini economici: nonostante le persone a laurearsi di più siano donne, queste ultime vengono pagate meno degli uomini. Un primo passo per cambiare le cose è informare il più possibile a riguardo. Per questo motivo, ritengo prezioso l’intervento del gruppo Laboratorio Obiettivo 5: ha sicuramente mostrato il nodo cruciale del problema.
Concludo la mia testimonianza con una piccola riflessione: le parole sono parte di noi e, per questo, vanno curate, coccolate, annaffiate; non dobbiamo sporcarle di pregiudizi, per rispetto di noi stessз e delle altre persone.
Katia Chiomento ha 17 anni e frequenta il Liceo scientifico Da Ponte. Interessata a diverse tematiche sociali, tra cui la parità di genere, appassionata di scrittura e musica, è redattrice del giornalino scolastico e quest’anno partecipa alla Scuola di politiche “Oltrevia”.