Non ricordo più…

Non ricordo più da quant’è che ho tolto l’orologio al polso. Quando il cinturino si è rotto si è fermato tutto. Il tempo ha cambiato forma, si è dilatato. Mi sento anch’io così, dilatato o, forse, sarebbe meglio dire appiattito dallo scorrere dei giorni, uno in fila all’altro senza soluzione di continuità. Ora che lavoro da casa dovrei sentirmi fortunato e un po’, in verità, mi ci sento. Mi sveglio sempre alla stessa ora ma non ho più l’ansia degli appuntamenti, delle corse per accompagnare i ragazzi a scuola, di essere sempre ben sistemato, con la camicia stirata e la barba rasata. Ora vesto e vivo in scioltezza. Lo posso fare perché ora siamo tutti, o quasi, fermi. Ho iniziato ad accorgermi che fuori le mura di casa c’è un bellissimo giardino, molto curato ed accogliente: è il giardino di casa ed è sempre stato lì.  Fino a qualche settimana fa lo attraversavo con un disinteresse quasi totale partendo al mattino e rientrando la sera. Non ho neanche quasi mai fatto caso se ci fossero dei fiori. Ora, invece, li vedo. Scorgo sotto il tappeto elastico una distesa di violette e nel lato ad est del giardino, dove l’erba è ancora un po’ più alta, un gruppo di piccoli fiorellini azzurri che da piccolo sentivo chiamare “occhi della madonna”. Mi accordo persino del canto degli uccelli, prima coperto dal rumore del traffico, e ne riconosco le diverse modulazioni. Le campane della chiesa arrivano fin dentro al garage, non sempre suonano a festa ed il pensiero è costante, a volte straziante. A dispetto della mia condizione emotiva e personale oltre le finestre della mia stanza si respira la vita. Ad ore alterne, infatti, risuona un vociare allegro. I bambini della via finora non si erano mai relazionati tra loro tanto da non conoscersi neppure per nome, da qualche giorno invece hanno iniziato a relazionarsi con una certa assiduità. Sono sempre davanti al pc ma li sento. Durante la giornata dai rispettivi giardini si organizzano, si danno appuntamento per una o l’altra sfida (loro la chiamano challenge). In un attimo mi riportano indietro di decenni alla mia giovinezza quando, con i secchi pieni gavettoni, le fionde cariche e pallone sempre con me, passavo le giornate in strada fino all’ultimo bagliore di luce, fino al richiamo della mamma.  Per loro è un divertimento indossare la mascherina, i più fortunati ne portano una in tessuto con alcuni disegni stampati. Anche i miei bambini la indossano e sono sempre loro a dirmi “tranquillo papà stiamo a metro”, intendendo rassicurarmi sul mantenimento delle distanze minime. Penso che forse loro, i bambini, custodiscono il vero segreto per affrontare questa emergenza. Sono resilienti, pazienti, rassicuranti e positivi. Riescono a programmare già il loro domani come di questi tempi tentano di fare anche le realtà aziendali. Lo stupore delle mie giornate attuali mi lasciano il gusto amaro e dolce di questo tempo di isolamento obbligatorio. Inaspettatamente avulso dalla vita precedente, oggi per il mio compleanno ho deciso di farmi un regalo: non indosserò più l’orologio.

Da Lara

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