Apro la finestra…

Apro la finestra: ormai è sera, voglio godermi l’ultima luce del giorno. La voce del müezzin si propaga tra le vie della città, ma è una preghiera diversa dal solito.

Il suono che mi giunge alle orecchie è modulato in modo inconsueto, doloroso. Non comprendo le parole, il turco continuo a non capirlo e figuriamoci quando è deformato da un altoparlante. Però so che il müezzin sta pregando per tutte le persone che sono toccate da questo virus, prega per la sua gente, per il suo popolo.

Già, il suo popolo. E il mio popolo? Il mio, distante miglia da qui, il mio come sta? Guardando la luce del tramonto non posso fare a meno di pensare all’Italia e a mia madre, di pensare che sto trascorrendo gran parte di questo dramma nella patria sbagliata.

Non che io mi trovi male in Turchia. Amo la gente di Izmir, gente molto disponibile ad aiutare. Certo una città non fa la Turchia intera, ma io sono stata fortunata e posso parlarne solo bene. Popolo che sa accogliere uno straniero, ma allo stesso tempo mantiene un forte senso d’appartenenza che ammiro.

E forse è proprio questo loro modo di vivere che ha risvegliato in me l’attaccamento per la mia terra. Mi fa male vederla lottare da qui, da lontano.

Il sole sta terminando il suo giro, il crepuscolo cala come una coperta sulle strade vuote. Anche qui vige il lockdown totale nei giorni di festa, parziale nei giorni feriali.

I luoghi dove si mangia il pesce fritto, il negozietto dei dolcetti al latte, la chiassosa signora del kebab, i lustrascarpe agli angoli delle vie, i gazebi sulle strade che vendono i piccoli panini al formaggio e pomodoro: tutto è fermo. La città è ferita e si sente. Il 24 aprile è iniziato il ramadan (che qui in realtà chiamano ramazan e ci tengono a precisare la differenza) mentre il giorno prima, il 23 aprile, era la festa dei bambini, che è molto sentita e che normalmente avrebbe coinvolto tutti. Invece, tutti chiusi a casa. Durante il giorno è circolata solo la macchina della polizia che ha cercato di rallegrare i bambini trasmettendo una canzone dagli altoparlanti e poi, alla sera, l’inno di Izmir e i fuochi d’artificio visti dai balconi degli appartamenti. I parchi, vuoti, i concerti annullati; solamente gli applausi della gente alle finestre e la voce di chi cantava l’inno hanno raggiunto ogni angolo della città.

Chi è bloccato fuori dall’Italia sta vivendo due emergenze: la prima col corpo in uno stato e la seconda con la testa in un altro.

Ora è buio. Le stelle e la luna brillano. Chiudo la finestra. Forza che domani è un altro giorno e che tutto questo disagio un giorno diventerà un’emozione da raccontare e le emozioni, alla fine, sono vita.

Da Valentina Superchi

Foto di Valentina Superchi
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