
Mattinata di pulizie, radio accesa su smartphone, troppo pigra per scendere di un piano e accendere direttamente lo stereo.
È il 2 giugno e ovviamente nelle rubriche i temi variano dalle riflessioni sul mancato ponte vacanziero causa Covid-19 alla ricorrenza della Festa della Repubblica.
E così mi ritrovo a pensare ad un aneddoto ascoltato parecchio tempo fa; non rammento di preciso quando, so però che mi è rimasto in testa, sedimentandosi. E capita che in questo periodo dell’anno mi torni in mente.
Ricordo che parlava di una giovane donna, nata tra le due guerre, cresciuta in una città in riva al mare e poi catapultata in piena giovinezza in un paesino assai sperduto dell’entroterra dei nostri Appennini. Solo boschi di faggio e di castagni, il mare un ricordo.
Ma lì almeno non bombardavano, unica ragione accettabile per aver lasciato un mondo e imparare ad adattarsi a un altro.
Aveva studiato dopo le medie, ma qualunque fosse stata la sua velleità, la guerra aveva deciso per lei.
E così, in quel borgo abbarbicato a mezza costa di una valle, è iniziata la sua carriera di maestra. Era brava, si diceva. Un punto di riferimento in luoghi in cui l’alfabetizzazione non la faceva da padrona.
Probabilmente, come tanti, vide passare partigiani, tedeschi e chissà chi altri; onestamente non ricordo il dettaglio di quel racconto.
Ma c’è un passaggio che mi è rimasto impresso.
Sono i giorni del 2 e 3 giugno del ’46. Si vota per decidere tra repubblica e monarchia. Ogni scuola è seggio elettorale, anche quello di questa giovane maestra chiamata a scrutinare. E diligentemente lei inizia lo spoglio, scheda per scheda, aiutata dal preposto del paesello. Il suo occhio è vigile, attento a non perdere i conteggi. Evento storico: primo voto come donna. Lei che il Re lo ricordava, lo aveva visto. Ma che aveva maturato la sua idea di democrazia e di libertà. Cosa sognava per il suo e per il nostro futuro? Chi lo sa.
Lo spoglio procedeva, i risultati parlavano di un quasi testa a testa. Cosa avesse significato la monarchia per l’Italia era ricordo vividissimo. Cosa avrebbe potuto significare la repubblica? Che speranza celava? A quale potenziale rinnovamento apriva? A quali libertà e possibilità? Difficile saperlo; forse lei lo intuiva appena. Era però una intuizione forte, da inseguire.
Ma cosa poteva fare una giovane maestra di paese? Solo continuare a tenere il conto di quelle schede, cercando di non farsi distrarre per non finire con il leggere qualche volta di troppo “repubblica” invece di “monarchia”. Perché, se mai così fosse stato, chi avrebbe colto la svista di una maestra?
Il 10 giugno 1946 la Corte di Cassazione proclamò i risultati: 12.717.923 cittadini e cittadine favorevoli alla repubblica; 10.719.284 favorevoli alla monarchia. Anche in quel paese di mezza costa, nel territorio cosiddetto delle “Quattro provincie”, la notizia arrivò immediata. Diverse, ovviamente, le reazioni e i commenti della gente riunita in piazza. Quando qualcuno le chiedeva cosa ne pensasse, la giovane maestra abbassava gli occhi (ma sorrideva).
Oggi, 2 giugno 2020, mi piace pensare di festeggiare anche un po’ lei e il suo ruolo in quel lontano giugno del ’46.
Quella giovane donna si chiamava Ernesta, ma si faceva chiamare Tina. Era mia nonna.
Da Gaia Bollini
