L’altalena dondola su e giù. Le catenelle si tendono verso il cielo e Matteo grida eccitato, poi si allentano e scendono verso terra, riportandolo indietro. Sotto di lui, l’erba è consumata, una macchia marrone. Un metro più in là Francesco è pronto, attutisce l’urto con le mani e spinge. Ancora una volta guarda suo figlio oscillare nel vuoto, e poi tornare da lui, e di nuovo spinge…
«Di più!» ordina Matteo. «Così tocco il cielo!» Poi la forza di gravità ha la meglio e di nuovo ritorna verso il basso. Questa volta però stende un braccio oltre la catena e si aggrappa al polso del padre.
«Attento!» Troppo tardi. «Matteo, cazzo, il mio cellulare», mormora Francesco chinandosi a raccogliere lo smartphone.
Mentre lo pulisce dalla terra, getta un’occhiata allo schermo. Ventuno messaggi da due chat. Uno è di Cinzia: Torno alle tredici. Almeno lei può uscire di casa. Gli altri venti sono dello stesso gruppo, festa Ale, creato quando in gruppo si poteva stare per davvero.
Francesco dice al figlio di continuare a giocare da solo. Rientra in casa, si siede sul divano e apre un video appena inviato da Ale, quello della festa, appunto. Uccelli che cantano con voci umane. Ride.
Mezz’ora più tardi torna in giardino: «Matteo!» Il tempo di domandarsi dove sia finito e il bambino sbuca da dietro un cespuglio vicino alla rete che separa il giardino da quello degli Scarpa. Al segnale che è pronta la merenda, Matteo si precipita.
Siede a tavola, tracanna la spremuta d’arancia come Jack Sparrow fa col rum e poi inizia a piluccare il panino con la marmellata. Piluccare, niente di più.
«Credevo stessi morendo di fame» gli dice Francesco.
«Mmm.»
Passano un paio di minuti. Finalmente Matteo solleva lo sguardo: «Papà?» domanda. «Posso andare a giocare da Anna?»
Francesco sospira. «No, lo sai che non si può.»
Il video degli uccelli nel gruppo Whatsapp ha dato il via a una compilation di messaggi audio da parte dei suoi amici e il telefono continua a squillare.
«Papà, ma io non ce la faccio più.» Matteo ha la voce che trema. Non ha mai avuto una crisi vera e propria, ma ora guarda il padre con le narici dilatate e i piccoli pugni chiusi. Tutto il corpo si è irrigidito. Adesso esplode, pensa Francesco.
«Non ce la faccio più!» ripete, e le prime lacrime cominciano a scivolare dagli occhi del bambino. «Non ce la faccio più!»
«Matteo, ascoltami bene…» Sta per raccontargli di nuovo la solita storia, quella del bambino paziente che non corre per tre mesi interi e quando infine partecipa alla maratona ha accumulato così tanta potenza da fare il giro quattro volte prima che i suoi amici arrivino al traguardo. Si schiarisce la voce e…
«I genitori di Anna sono d’accordo?» chiede.
Matteo solleva gli occhi umidi. «Hanno detto di sì.»
«Va bene, ti accompagno.» Mentre indossa la giacca pensa che potrebbe prendere la multa, ma non gli importa. L’ha detto Matteo: non se ne può più. E i bambini sono la voce della verità, no? ripete a se stesso.
Prende le chiavi della macchina, controlla l’ora sul telefono: «Solo un’oretta» dice, e insieme escono dalla porta.
La Kia è parcheggiata poco più avanti sulla destra. Francesco siede al posto di guida e fa per mettere in moto, ma si accorge che sul sedile posteriore non c’è nessuno. «Matteo?»
Scende sbattendo la portiera e si guarda intorno.
Finalmente lo vede. È dall’altro lato dell’auto, in piedi, voltato di spalle. È fermo davanti al cancello dei vicini e, in punta di piedi perché il suo volto sia visibile dalla telecamera, sta citofonando.
Si affaccia alla porta una bambina con grandi occhi marroni e guance da marmotta. È la figlia degli Scarpa, Francesco si rende conto che non conosceva il suo nome. Oppure lo conosceva?
Con voce incerta chiama suo figlio, che torna da lui strascicando i piedi.
«Credevo parlassi dell’Anna che è in classe con te. Non era da lei che volevi andare?»
«Non posso vedere i miei amici di scuola. La legge lo vieta» risponde. «Però adesso che ho conosciuto questa Anna, mi dispiace un po’ meno.»
Francesco si accovaccia per guardarlo negli occhi. Si è accorto che dal ciglio della porta la bambina li osserva.
«Devo dirti una cosa, Matteo. Mi dispiace, ma la legge vieta anche che tu vada da questa Anna. Papà stava facendo una cosa sbagliata.»
Matteo alza un po’ le spalle, solo vagamente deluso. Lo sapeva già, lui, che era una cosa sbagliata. Senza dire nulla si avvia verso casa e si siede accanto alla rete, dietro al cespuglio. Mentre rientra, Francesco guarda Anna sedersi sull’erba nella sua parte di giardino. Indossa una mascherina verde e oro, ne sembra orgogliosa. Accanto a lei, un gruppo di pratoline. Si ricorda che da bambino era convinto fossero quelle le margherite.
Matteo si volta quando lo sente avvicinarsi e gli domanda: «Solo un’oretta?»
Francesco gli risponde che no, può rimanere lì quanto vuole. Poi entra in casa e spegne il cellulare.
