Pane, pomodori, uno yogurt, un po’ di formaggio, un paio di birre.
Entro nel Market con la lista in testa e gli occhi pronti all’incontro con qualche prodotto che da noi non c’è, come succede quando ti trovi in un posto nuovo. Qualcosa che ti faccia sentire proprio altrove, che userai per commentare la vacanza una volta tornata a casa.
Ma mi fermo sulla porta: non ho la mascherina. Dimenticata. Ahimè, fine dell’esperienza Market croato.
Però ci sono pochissime persone, alcune senza e alcune con. Il distanziamento è assicurato. La cassiera mi vede sulla soglia e non dice niente – lei la mascherina la indossa.
Una donna si avvicina alla cassa, presso la porta d’entrata. Dice: ‘Brava Jvanka, ti comporti bene, segui le indicazioni, così nessuno si ammala. Se tutti facessero come te non ci sarebbero problemi.’ È italiana. Mentre parla guarda me, che non sono Jvanca. Io guardo lei, volto protetto con virtuosa diligenza da una fascetta a righe bianche e celesti, stile marinaro.
Entro e faccio la spesa.
Da bambina andavo in vacanza un mese intero al mare e un mese in montagna. Stavamo con la mamma, io, Valerio ed Eliana. Qualche volta capitava la zia. Papà, l’unico che aveva un lavoro stipendiato, dopo aver consumato i giorni di ferie ci raggiungeva nei fine settimana. Cambiare aria era opportuno e salutare. Da piccolina vuol dire cinquanta anni fa: si andava sulla luna per la prima volta, i programmi alla tv non si sceglievano e i libri per bambini avevano un’immagine ogni venti pagine. In vacanza avevamo la lavatrice portatile a ovetto, rosa, con la manovella meccanica.
Nel tempo della clausura da Covid-19, io, mia sorella e mio fratello pregavamo perché si riaprissero le porte per poter andare in vacanza prima che l’estate finisse. L’imprinting non perdona. Oggi che un mese di ferie non lo fa neanche la regina d’Inghilterra. Oggi che giriamo con le mascherine, che il tempo del lavoro è quello dentro a un video e che il tempo libero è quello dentro allo stesso video. Oggi noi tre abbiamo lo stesso bisogno di allora di stare all’aria aperta, con o senza sole in faccia.
Mio fratello e mia sorella l’anno scorso hanno comprato la moto. Io due settimane fa un camper, perché le nostre preghiere sono state ascoltate e le porte si sono aperte. Un camper usato, era di un’amica, ho deciso in pochi giorni. Detto-fatto.
Naturalmente era d’obbligo un giro di prova.
Be’, salta fuori che il giro di prova, come le vacanze, bisogna farlo in Italia.
Io invece volevo andare in Croazia.
Salta fuori che un serbo ha contagiato un vicentino, perciò chi va in Croazia corre dei rischi.
Volevo andare in Croazia per rivedere l’isola di Cres e sentire l’aria tinta di giallo, verde e blu. Per percorrere la strada che taglia l’Istria da Trieste a Rieka, tra i boschi di abeti e le gostionice con i maialini allo spiedo. Per salire sul traghetto a Brestova e assistere alla metamorfosi dell’Adriatico.
Perché quest’isola è uno dei pochi luoghi in cui torno, nonostante il desiderio permanente di andare per strade nuove e vedere nuovi paesi. E perché Cres, rispetto alla mia città, si trova a Est: la direzione degli inizi.
Così, non ho dato ascolto alle notizie video/radio, ai buoni consigli degli amici, alle raccomandazioni che non si sa chi le metta in rete; ho guardato le indicazioni del sito della Farnesina e ho messo il camper in strada. Meta: il piccolo paese di Martinscika.
Nessun controllo di frontiera, nessuna misurazione di temperatura, nessuna mappatura gps sottopelle. Nessuna app di tracciamento. Né in entrata, né in uscita. Nessun cartello diverso dai cartelli italiani, le mascherine tali e quali, uguali i gel disinfettanti, stessa prudenza, molti sorrisi di benvenuto. Nessun italiano, o quasi.
Il giro è durato una settimana, e ora sono a casa. La donna del Market ritorna nei commenti sul viaggio, insieme ai prodotti locali.
Sono di nuovo a casa, nella nostra Italia più sicura e più unica, dove tutto è migliore di tutto il resto e tutti sono migliori di tutti gli altri.
