Il racconto di Silvia
Quante belle parole ho sentito.
Mi occupo di mio marito che è tetraplegico, ho due figli, sono sempre riuscita a far tutto. Poi, anche prima della pandemia, ho cominciato ad accusare un po’ di fatica, lavorando in un ambito di cura, essendo molto empatica, non avendo amicizie, non avendo una famiglia vicino, i primi tempi del covid sono stati spaventosi. Io mi son vista da sola a dover fare tutto il mio lavoro di cura a casa. Ero l’unica a poter uscire di casa. È stato molto forte, per me. Pensavo: se io portassi il virus a casa… per me è stata una cosa dentro davvero molto forte, ma mi sono sempre tenuta tutto dentro. Alla fine della prima ondata, più o meno di questi tempi mi sono trovata molto, molto giù di morale, psicologicamente e fisicamente molto giù. Ho smesso di guidare, ho cominciato a soffrire d’ansia. Mi sono rivolta alla mia assistente sociale, quella che ci segue, e le ho detto, guarda, comincio a soffrire di queste cose, probabilmente ho bisogno di una mano, e lei mi dice, sì sì, non c’è problema, se vuoi a Rimini, a venti chilometri da qui, ti posso prendere un appuntamento con una che ti può parlare gratuitamente. E io le ho detto: però, Claudia, io non guido. Ah, mi ha detto, io non so cosa farci, quelli son problemi tuoi, io posso far questo. Eventualmente vai a pagamento.
Ma io non posso pagarmi una psicologa. Ho detto okay, andiamo avanti, sono andata avanti è passato tutto il 2020 ed è arrivato il 2021, che non è stato meglio, e i problemi psicologici mi si sono riversati nel corpo. Ho cominciato ad avere problemi soprattutto alle gambe, ho avuto giorni che facevo fatica ad alzarmi dal letto. Sono stata proprio ieri dal mio medico, guardi dottore, gli ho detto, ho questo problema alle gambe, sto facendo fatica, e lui mi ha detto Silvia, io domani vado in vacanza, ma ti do sta cremina, mettila alle gambe e ti rilassi.
Ragazze, donne, dopo quello ho chiuso i ponti.
Io dico: son bellissime le cose sui caregiver, l’impegno che tutti ci mettono, però concretamente, fisicamente, qui da noi non c’è nulla. Mi piacerebbe proprio… ci sono tantissime caregiver qui da noi…
che soffrono in silenzio…faccio qualcosa io, faccio da punto di riferimento, perché non è possibile che delle donne, e ce ne sono tante qui da noi, debbano passare quello che passo io…
L’intervento della professoressa del dipartimento di psicologia UNIBO
Il rischio è proprio questo, che se non si interviene prima, qualcuno suggerisce di mettere la crema sulle gambe […] Silvia arriva da due anni di solitudine, in cui non c’è stata la possibilità di condividere e son proprio queste le fasi, si passa dalla solitudine, dalla stanchezza, alla chiusura. Là dove c’è sofferenza, dove c’è malattia c’è poca condivisione, le persone scappano perché stare vicino a chi soffre anche come amico soprattutto là dove c’è una cronicità è pesante. Silvia è bravissima. Il suo è un grido d’allarme che dovrebbe essere accolto, dobbiamo dare delle risposte. Bisogna portare lo psicologo a casa, in America lo fanno già.
L’intervento della direttrice della Cura della Persona, Salute e Welfare Emilia Romagna
Ci sarebbero davvero tantissime cose da dire, ma penso che la più semplice sia di chiedere a Silvia se mi dà il suo indirizzo così la vado a trovare e facciamo due chiacchiere e poi magari ne parlo con i dirigenti della sua azienda. È chiaro che le cose di cui parliamo sono possibili, lo abbiamo visto dall’esperienza di Modena, anche per la presenza di Loredana, diciamocelo, di fare una modifica culturale, graduale, nel giro di molti anni: diciamocelo, non è così facile, non bisogna pensare che parlare di sostegno ai caregiver sia una banalità, significa davvero pensare a chi si prende cura dei propri cari in un’ottica completamente diversa. Le cose non vanno dappertutto nello stesso modo, e c’è anche una pesantissima questione di genere. E quindi dico a Silvia che dobbiamo metterci in gioco come istituzioni. Magari vado a trovarla di sabato o di domenica, che il resto della settimana ce l’ho anch’io pieno pieno.