Mercoledì 8 luglio 2020. La giornata si annuncia torrida.
Francesca guarda Felice, il suo amato cane. È steso sul pavimento della cucina, alla ricerca di refrigerio. Lei sa quanto soffra il caldo e decide di portarlo a passeggio presto. Prima di tutto al parco, dove lui leggerà il suo giornale degli odori quotidiani; poi ha intenzione di andare in centro per ritirare dei libri arrivati per i nipotini e una medicina ordinata in farmacia. E vuole passare davanti al Caffè dei libri. Spera di trovarlo aperto, anche se ormai è sfiduciata: i mesi di confinamento sembrano essere stati fatali a questo luogo di Bassano un po’ diverso dagli altri, un posto che le piaceva frequentare per la serenità che offriva con la sua musica classica, gli scaffali di libri, la gente che parlava sottovoce o che lavorava, l’accoglienza dei titolari.
La passeggiata è piacevole, nell’aria c’è ancora la carezza del mattino e Francesca è felice di ritrovarsi in centro, dove non va molto spesso ultimamente.
Scende per piazza Libertà camminando sotto i portici. C’è poca gente.
Un po’ prima del panificio che fa angolo con piazzotto Montevecchio, vede un commesso occupato nella pulizia della sua soglia e una donna vestita di chiaro, con una maglietta a fiori, un paio di pantaloni al ginocchio e semplici sandali di cuoio. La pelle ha il colore dell’agata bruna. È appoggiata a una colonna e sembra fondersi con questa, quasi incorporea. Mentre si avvicina, Francesca percepisce tuttavia l’intensità degli occhi che la scrutano. Non vede le mani alzarsi nel solito gesto di richiesta di soldi. Lo sguardo di lei però la attraversa e la mette in quel disagio che conosce bene. Lo percepisce sempre davanti a coloro che sono per lo più invisibili, ma che ogni tanto chiedono di essere guardati nel loro tormento, sperando nella generosità di qualche passante.
Decide di oltrepassarla, percorre un paio di metri, poi non riesce a trattenersi: si gira e la donna mette le mani in preghiera all’altezza del cuore. Francesca si avvicina e la sente sussurrare: “Aiutami per favore.” Nell’aprire lo zainetto, in cerca di soldi, pensa a come altro aiutarla e le chiede da dove viene. Lei, con gentilezza, risponde ad ogni domanda in un italiano comprensibile. Si chiama Saida, viene dal Gambia, è arrivata qui con i suoi figli di due e quattro anni. Sono arrivati dal mare, suo marito è morto durante il viaggio. All’inizio un’associazione la aiutava, ma le hanno tolto il figlio di due anni per affidarlo ad un’altra famiglia: lei non voleva questo e allora si è ripresa suo figlio ed è ripartita. Non ha la residenza, cerca un lavoro che le permetta di pagare l’affitto della camera in cui sta vivendo a Vittorio Veneto con i suoi figli. Il proprietario è sempre più arrabbiato e ogni volta che la vede le urla di pagare. Lei dà a un’altra signora africana cinque euro al giorno per tenere i suoi figli mentre cerca lavoro o soldi.
Francesca osserva il viso di Saida, che porta i segni di una storia difficile. Sente l’emozione aumentare. Il commesso si avvicina e comincia ad accarezzare Felice. Non vede gli occhi lucidi di Francesca e le chiede informazioni sul cane, le dice che è bello, e così fanno altri due passanti. Felice, abituato, non ci fa caso. Francesca spera che Saida non percepisca l’assurdità della situazione, ma girandosi verso di lei, coglie il suo smarrimento e la sente dire: “Loro vedono il cane, non le persone come me…”.
Francesca si fa dare i suoi contatti e le dice che cercherà di aiutarla. La saluta, anche se Saida fa fatica a lasciarla andare via.
Arrivata più giù nella piazza, Francesca coglie la gioiosa agitazione dei bar all’aperto pieni di bimbi e bimbe con le mamme o i nonni. Il contrasto con la situazione di prima la fa stare male. Si dirige verso il Caffè dei libri, irrimediabilmente chiuso. Spera che i titolari abbiano altre risorse per portare avanti la loro famiglia.
Poi sente dei passi affrettati dietro di lei e una voce ansimante.
“Signora…”, è Saida che l’ha rincorsa, “non dimenticarti di me.”
