Guardare i fili d’erba

Ricordo che era un venerdì e il sole splendeva come il viso di mia figlia il giorno del suo compleanno (non importa quale, tutti i suoi compleanni sono belli). Tirava un venticello fresco e noi due ce ne stavamo in giardino. Lidia, sdraiata sulla pancia, fissava i fili d’erba e chissà cosa ci vedeva. Io ero sulla sdraio, stavo leggendo un libro di Roberto Bolaño con un titolo che, ricordo bene, mi fece ringraziare che Lidia ancora non sapesse leggere.

Potevano essere le dieci, le undici o mezzogiorno. Mi è tornato in mente ora perché venderei la macchina per uno di quei refoli di vento. Davvero lo faresti? Mi domando. Rimarresti a piedi nel bel mezzo dell’autostrada? Davvero, lo farei.

Dico che poteva anche essere mezzogiorno perché non rientrammo in casa fino all’una e mezza, quando Mauro uscì chiamandoci a gran voce e sventolando il mestolo per aria. Lidia scoppiò a ridere vedendolo con addosso il grembiule. La cosa mi infastidì.

Suono il clacson, azzardo un sorpasso, ma una Mercedes mi supera da destra; suono di nuovo il clacson rivolta alla guidatrice che prosegue indifferente. Mi attraversa la mente il titolo di Bolaño, ci sono parole più adatte all’autostrada che alla copertina di un libro. Mauro è al telefono, naturalmente.

Durante i viaggi in macchina, Lidia ascolta sempre le fiabe sonore, quando non ascolta le fiabe canta, racconta favole, fa la conta per scegliere la prossima storia da ascoltare. Però, durante i viaggi molto lunghi in macchina, capita che Lidia si addormenti, Mauro smetta di telefonare e si limiti a controllare i messaggi e le e-mail, e allora io sono libera di pensare. Cosa ci aspetta? Le pause in autogrill, è la prima cosa che mi viene in mente. Uscire dall’autostrada, trovare un parcheggio all’ombra, la fila per il caffè, la fila per il bagno, rientrare in autostrada.

Il campeggio. Fare il check-in, trovare una piazzola all’ombra, distante dal palco con la baby-dance e i megafoni alle due del pomeriggio (bambini, tutti qui, bambini, balliamo! Anche se poi sono tutte bambine, o quasi), montare la tenda. Finalmente, vedere Lidia seduta sugli aghi di pino, con il suo costumino giallo e le infradito azzurre, come la mascherina, così quando vai a prendere il gelato al bar sei tutta in pendant! Cosa vuol dire pandan, mamma? Vuol dire uguale.

Annuisce, distesa sulla pancia fissa gli aghi di pino, e chissà cosa ci vede. Uguale, come i fili d’erba che sono tutti dello stesso colore, dico allora. Gli aghi di pino sono fili d’erba morti? Mi domanda.

Fatico a credere che siano già passati cinque mesi, eppure era il 20 marzo, quindi non importa cosa credo. Dopo pranzo avevo detto a Lidia e Mauro che potevano andare, sparecchiavo io. Ora che ci penso, è strano che l’avessi detto, è sempre ovvio che sparecchio io. Ma in quel momento non era sembrato strano, era sembrato normale, come se comunque l’idea che avrebbero potuto farlo loro (cioè Mauro, perché Lidia al massimo poteva portare al lavello il suo bicchiere di plastica di Frozen) al posto mio non fosse assurda.

Mah, era strano il periodo, penso ora. Con Mauro in smartworking e Lidia a casa dall’asilo, io, che sono impiegata, in ufficio un giorno a settimana, a rotazione, le amiche e gli amici che non passavano più a trovarci, né ci invitavano a cena, il cinema chiuso e le piazze depresse, le strade silenziose, il cielo senza aerei, libero, l’agenda vuota, le librerie chiuse, niente da fare, ma non come una scelta, come un imperativo, niente da poter fare, tranne che stare distese con la pancia all’ingiù in giardino a guardare i fili d’erba, o leggere Roberto Bolaño, e poi rileggerlo, perché le librerie sono chiuse: da quanto non rileggevo un libro? Allora, che strano a pensarci, credo di aver cominciato a vedere anche io quello che Lidia vedeva nei fili d’erba. Qualcosa che si vede solo rallentando.

«Pensa che cosa sarebbe, tornare a casa a piedi», dico a Mauro mentre apro l’ombrellone. Crede che mi riferisca alla tenda. No, gli dico, tornare a Bassano. Da qui, dal Salento. Pensa che cosa sarebbe. Lui ride, io guardo Lidia. Distesa sulla pancia, fissa i granelli di sabbia.

Foto di Ashwin-Thomas-ChUhyenHoYo dal sito Unsplash

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